lunedì 23 febbraio 2015

Il diritto alla felicità

La filosofia è una pratica di vita, è una palestra per la mente, può fornirci i criteri per vivere in modo più consapevole e per essere felici.

Quanti elementi, ogni giorno, ci impediscono di essere noi stessi, di essere delle persone autentiche?
Vi siete mai fatti questa domanda: “Se le mie azioni non avessero conseguenze, quante volte nell'arco di una giornata mi comporterei in modo diverso da come faccio? Quante scelte diverse farei?”

Naturalmente le conseguenze ci sono, lo sappiamo tutti.
Ma la buona notizia è che non sono tutte uguali, queste conseguenze, non tutte hanno la stessa importanza.
Se la conseguenza di una nostra azione o decisione riguarda l'incolumità nostra o di altri individui, o il loro benessere, insomma se la conseguenza tocca dei principi etici o civili, dei principi fondamentali della vita umana, allora siamo di fronte ad una conseguenza importante, di cui tenere conto; se, invece, le conseguenze di una nostra azione riguardano un livello più superficiale della vita, come il fatto che quel tale vicino di casa o quel parente si sentirebbe offeso, o non sarebbe d'accordo o si arrabbierebbe con me, ecc, allora è decisamente un'altra questione.

In questo secondo caso, possiamo anche trascurare le conseguenze delle nostre scelte ed operare alla luce di un unico grande principio: noi stessi e quello che la nostra coscienza ritiene sia giusto.
La nostra mente è assolutamente in grado di distinguere cosa è bene da cosa è male.
La filosofia è un ottimo strumento di indagine in questo senso. Se la nostra mente è allenata a dialogare con se stessa, in modo franco e oggettivo, allora siamo sicuri di poter stabilire autonomamente cosa è giusto fare in certe situazioni.

Ma quante persone realmente ricorrono a questo principio per prendere decisioni della loro vita? Quante persone decidono davvero “autonomamente”?
“Vorrei cambiare lavoro”, potrebbe pensare una giovane donna o un giovane uomo che dopo diversi anni comprende che il lavoro che fa non lo gratifica né professionalmente né nella sfera privata “ma chi lo dice ai miei?” o in altri casi “Ma chi lo dice a mia moglie (o a io marito)?”
Ancora peggio: “Se cambiassi lavoro e facessi davvero quello che desidero, i miei amici(o i miei parenti) mi prenderebbero per pazzo”.

Non è raro poi sentirsi dire frasi come : “Ma perché devi essere il solito eccentrico, mica noialtri siamo tutti scemi a fare un lavoro che non ci piace, lo facciamo perché nella vita bisogna essere maturi e spesso accontentarsi, non si può avere tutto”. In sostanza il messaggio è: se tutti fanno così un fondo di verità c'è quindi devi seguire anche tu il comportamento più diffuso.

In definitiva, il bene o il male, la cosa giusta o la cosa sbagliata, sembra che debbano essere stabiliti non in base a quello che sentiamo intimamente, dentro di noi, ma in base ad un mero confronto con il resto della società, con l'atteggiamento più diffuso, più accreditato.

Certamente distinguersi dalla massa, assumere un comportamento diverso da quello ritenuto “normale” può mettere a disagio molti di noi, può farci sentire diversi, ci fa diventare oggetto di critiche e di disapprovazione generale. E spesso non abbiamo la forza di contrastare tutto questo in nome della nostra stessa felicità e del nostro stare bene.
E invece non ci sarebbe niente di più giusto che contrastare e perseverare.
Ce lo ha detto Emerson nel post precedente, con le sue parole decise e chiarissime.

“Quel che io debbo fare è quanto riguarda me, non ciò che la gente ne pensa. Una tale regola, tutt'altro che facile da applicare sia nella vita pratica che in quella intellettuale, potrebbe servire come esatta distinzione tra grandezza e mediocrità. Tutto è poi reso arduo dal fatto che c'è sempre qualcuno che crede di sapere quali siano i tuoi doveri meglio di quanto non sappia tu stesso. E' facile, nel mondo, vivere secondo l'opinione del mondo; è facile, in solitudine, vivere secondo noi stessi; ma l'uomo grande è colui che in mezzo alla folla conserva con perfetta serenità l'indipendenza della solitudine.”1

Ma ce lo assicura anche la riflessione personale, quel dialogo onesto e rigoroso, filosofico, che possiamo condurre con noi stessi, quello sguardo lucido e sicuro che la filosofia può farci gettare sulla realtà e su noi stessi, per comprendere davvero dove sta la verità.
Se le conseguenze di un nostro atto non ledono i principi fondamentali e i diritti di ogni vita umana, è più giusto rispettare se stessi o accontentare chi ci sta intorno?
Coloro che vivono accanto a noi sono senz'altro persone importanti, certo...esattamente quanto lo siamo noi per noi stessi! Pretenderemmo noi da quelle persone che facessero qualcosa per accontentarci piuttosto che qualcosa che li renderebbe felici? Non credo; in tutta onestà, non ci sentiremmo nel giusto se lo facessimo. E allora perché dovremmo permettere che loro facciano questo a noi? Perché non sentire forte tutto il diritto di difendere la nostra felicità?
La nostra esistenza, della cui durata non sappiano assolutamente nulla, è un bene prezioso, il bene più prezioso, è un crimine sprecarla, è un peccato non sforzarsi ogni giorno di difenderlo e di valorizzarlo sempre di più.
Anche questo, cioè il rispetto per la propria vita e i propri desideri, il rispetto del tempo che ci è concesso su questa terra, è uno di quei principi fondamentali, di quei diritti essenziali di un individuo che non andrebbero mai lesi.
Quando pensiamo alle conseguenze delle nostre decisioni, oltre a stare ben attenti a non ledere i diritti e il bene di chi ci circonda, pensiamo anche a non ledere il nostro diritto a stare bene e di essere felici.


1 R. W. Emerson, Natura e altri saggi”, a c. di Tommaso Pisanti, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1990. Ivi, p. 98.


Nessun commento: