La
filosofia è una pratica di vita, è una palestra per la mente, può
fornirci i criteri per vivere in modo più consapevole e per essere
felici.
Quanti
elementi, ogni giorno, ci impediscono di essere noi stessi, di essere
delle persone autentiche?
Vi
siete mai fatti questa domanda: “Se le mie azioni non avessero
conseguenze, quante volte nell'arco di una giornata mi comporterei in
modo diverso da come faccio? Quante scelte diverse farei?”
Naturalmente
le conseguenze ci sono, lo sappiamo tutti.
Ma
la buona notizia è che non sono tutte uguali, queste conseguenze,
non tutte hanno la stessa importanza.
Se
la conseguenza di una nostra azione o decisione riguarda l'incolumità
nostra o di altri individui, o il loro benessere, insomma se la
conseguenza tocca dei principi etici o civili, dei principi
fondamentali della vita umana, allora siamo di fronte ad una
conseguenza importante, di cui tenere conto; se, invece, le
conseguenze di una nostra azione riguardano un livello più
superficiale della vita, come il fatto che quel tale vicino di casa o
quel parente si sentirebbe offeso, o non sarebbe d'accordo o si
arrabbierebbe con me, ecc, allora è decisamente un'altra questione.
In
questo secondo caso, possiamo anche trascurare le conseguenze delle
nostre scelte ed operare alla luce di un unico grande principio: noi
stessi e quello che la nostra coscienza ritiene sia giusto.
La
nostra mente è assolutamente in grado di distinguere cosa è bene da
cosa è male.
La
filosofia è un ottimo strumento di indagine in questo senso. Se la
nostra mente è allenata a dialogare con se stessa, in modo franco e
oggettivo, allora siamo sicuri di poter stabilire autonomamente cosa
è giusto fare in certe situazioni.
Ma
quante persone realmente ricorrono a questo principio per prendere
decisioni della loro vita? Quante persone decidono davvero
“autonomamente”?
“Vorrei
cambiare lavoro”, potrebbe pensare una giovane donna o un giovane
uomo che dopo diversi anni comprende che il lavoro che fa non lo
gratifica né professionalmente né nella sfera privata “ma chi lo
dice ai miei?” o in altri casi “Ma chi lo dice a mia moglie (o a
io marito)?”
Ancora
peggio: “Se cambiassi lavoro e facessi davvero quello che desidero,
i miei amici(o i miei parenti) mi prenderebbero per pazzo”.
Non
è raro poi sentirsi dire frasi come : “Ma perché devi essere il
solito eccentrico, mica noialtri siamo tutti scemi a fare un lavoro
che non ci piace, lo facciamo perché nella vita bisogna essere
maturi e spesso accontentarsi, non si può avere tutto”. In
sostanza il messaggio è: se tutti fanno così un fondo di verità
c'è quindi devi seguire anche tu il comportamento più diffuso.
In
definitiva, il bene o il male, la cosa giusta o la cosa sbagliata,
sembra che debbano essere stabiliti non in base a quello che sentiamo
intimamente, dentro di noi, ma in base ad un mero confronto con il
resto della società, con l'atteggiamento più diffuso, più
accreditato.
Certamente
distinguersi dalla massa, assumere un comportamento diverso da quello
ritenuto “normale” può mettere a disagio molti di noi, può
farci sentire diversi, ci fa diventare oggetto di critiche e
di disapprovazione generale. E spesso non abbiamo la forza di
contrastare tutto questo in nome della nostra stessa felicità e del
nostro stare bene.
E
invece non ci sarebbe niente di più giusto che contrastare e
perseverare.
Ce
lo ha detto Emerson nel post precedente, con le sue parole decise e
chiarissime.
“Quel
che io debbo fare è quanto riguarda me, non ciò che la gente ne
pensa. Una tale regola, tutt'altro che facile da applicare sia nella
vita pratica che in quella intellettuale, potrebbe servire come
esatta distinzione tra grandezza e mediocrità. Tutto è poi reso
arduo dal fatto che c'è sempre qualcuno che crede di sapere quali
siano i tuoi doveri meglio di quanto non sappia tu stesso. E' facile,
nel mondo, vivere secondo l'opinione del mondo; è facile, in
solitudine, vivere secondo noi stessi; ma l'uomo grande è colui che
in mezzo alla folla conserva con perfetta serenità l'indipendenza
della solitudine.”1
Ma
ce lo assicura anche la riflessione personale, quel dialogo onesto e
rigoroso, filosofico, che possiamo condurre con noi stessi, quello
sguardo lucido e sicuro che la filosofia può farci gettare sulla
realtà e su noi stessi, per comprendere davvero dove sta la verità.
Se
le conseguenze di un nostro atto non ledono i principi fondamentali e
i diritti di ogni vita umana, è più giusto rispettare se stessi o
accontentare chi ci sta intorno?
Coloro
che vivono accanto a noi sono senz'altro persone importanti,
certo...esattamente quanto lo siamo noi per noi stessi! Pretenderemmo
noi da quelle persone che facessero qualcosa per accontentarci
piuttosto che qualcosa che li renderebbe felici? Non credo; in tutta
onestà, non ci sentiremmo nel giusto se lo facessimo. E allora
perché dovremmo permettere che loro facciano questo a noi? Perché
non sentire forte tutto il diritto di difendere la nostra felicità?
La
nostra esistenza, della cui durata non sappiano assolutamente nulla,
è un bene prezioso, il bene più prezioso, è un crimine sprecarla,
è un peccato non sforzarsi ogni giorno di difenderlo e di
valorizzarlo sempre di più.
Anche
questo, cioè il rispetto per la propria vita e i propri desideri, il
rispetto del tempo che ci è concesso su questa terra, è uno di quei
principi fondamentali, di quei diritti essenziali di un individuo che
non andrebbero mai lesi.
Quando
pensiamo alle conseguenze delle nostre decisioni, oltre a stare ben
attenti a non ledere i diritti e il bene di chi ci circonda, pensiamo
anche a non ledere il nostro diritto a stare bene e di essere felici.
1 R.
W. Emerson, Natura e altri
saggi”, a c. di Tommaso Pisanti, Biblioteca Universale Rizzoli,
Milano, 1990. Ivi, p. 98.
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