giovedì 12 febbraio 2015

Un racconto di filosofia per bambini

Eccomi al mio primo tentativo di raccontare una favola filosofica per bambini. 
E' mia ferma convinzione che la Filosofia per Bambini (o filosofia con i bambini) non debba essere solo una pratica o una linea editoriale, ma una vera e propria materia di insegnamento. La filosofia come disciplina scolastica dovrebbe essere estesa non solo a tutti e cinque gli anni della scuola superiore (ad oggi si insegna solo nell'ultimo triennio), ma anche agli anni della scuola primaria e media.
Nel frattempo questo è il mio contributo perché tale sapere raggiunga anche gli interlocutori più piccini, con la preziosa collaborazione delle loro mamme e delle loro maestre.
Come già il titolo  anticipa chiaramente, nel mio racconto filosofico provo a spiegare al pubblico dei bambini i concetti filosofici che Platone tratta, attraverso il mito della caverna, nel Libro VII de La Repubblica. Il mito veniva usato da Platone allo stesso modo di una metafora, per spiegare in modo più chiaro e semplice concetti e tesi filosofici altrimenti difficili da comprendere.
Per ora non voglio svelarvi più di questo, ma vi lascio liberi di leggere e interpretare autonomamente la favola...parleremo più diffusamente del mito della caverna e del suo significato filosofico nel prossimo post.

Intanto vi auguro buona lettura!




ENRICO E IL MITO DELLA CAVERNA




Enrico ha 5 anni ed è un ragazzino vivace e sempre molto curioso. 
C'è una cosa che ama molto fare. Nelle giornate fredde o in quelle troppo afose e calde per poter uscire a giocare a pallone, ama restare a casa accoccolato nella sua poltrona preferita e ascoltare una di quelle bellissime fiabe che sua madre sa raccontargli.
Enrico non sa da dove la mamma prenda quelle storie, se dalla sua fantasia o dal racconto di qualcun altro. 
Resta il fatto che a lui piacciono tanto e gli piace tanto poi restare ancora un po' seduto su quella poltrona a parlare ancora di quelle storie.
Così quel giorno di inverno, mentre fuori si preparava un temporale coi fiocchi, Enrico decise che era giunto il momento di ascoltare una di quelle storie.
«C'era una volta un bambino di nome Tom” iniziò quindi a raccontare la mamma “che, ogni giorno, durante le vacanze estive, subito dopo pranzo, soleva fare delle lunghe e solitarie passeggiate per i viali di una bella ed estesa campagna di fronte casa sua. Un giorno però si spinse un po' più lontano del solito e improvvisamente si ritrovò di fronte ad un boschetto. Era piccolo, non sembrava pericoloso e la curiosità di Tom era così viva e incalzante che il piccolo decise di avventurarsi per quei sentieri così invitanti. 

Camminò per un po', ammirando la bellezza del boschetto, dei suoi alberi dai rami intricati e frondosi, la varietà di fiori e piante, godendo della piacevole frescura del posto e ascoltando i versi mai sentiti prima di tanti uccelli e animali nascosti chissà dove.

Ad un tratto, senza neanche capire come, si ritrovò di fronte ad una caverna. 

L'entrata era libera e proveniva dall'interno una debole e tremolante luce insieme a certi confusi rumori, come dei bisbiglii.

Tom sentì un formicolio corrergli lungo la schiena, i battiti del suo cuore ebbero un'improvvisa accelerata, ma stranamente la curiosità e la voglia di scoprire cosa c'era lì dentro ebbero la meglio sulla paura e, senza riuscire a fermare i suoi piedi, pervaso com'era da una strana sete di sapere, entrò nella caverna.

Ora la luce era più forte e i rumori che aveva udito poco prima si erano fatti più vicini.

Tom proseguì ancora.

Seguendo un percorso stretto e accidentato si vide costretto a svoltare a destra e di colpo si ritrovò di fronte ad un grande fuoco. Adesso i rumori erano vicinissimi e Tom riconobbe il fruscio di alcuni giunchi e delle voci sommesse. I suoi occhi si abituavano sempre più all'oscurità, ma fu soprattutto il fuoco che permise al piccolo di vedere con chiarezza la scena che gli si presentò davanti.

Riusciva a distinguere in lontananza le sagome di alcuni bambini, con i piedi affondati nella terra fino alle caviglie. Tutti gli davano le spalle, poiché tutti erano ugualmente rivolti verso la parete di fondo della caverna sulla quale, per opera del fuoco che si trovava alle loro spalle, si proiettavano le loro ombre.

I bambini erano intenti ad intrecciare dei giunchi per farne dei canestri. Ve n'erano già molti di varia misura per terra, accanto ad ogni bambino.
Chiacchieravano serenamente tra di loro e intanto confezionavano un cesto dopo l'altro. Nessuno si accorse di lui. 
Nonostante la presenza del fuoco, l'oscurità era profonda lì dentro e Tom si rese conto che quei bambini riuscivano a vedere solo le ombre proiettate sulla parete mentre potevano scorgere a malapena le loro mani che lavoravano alacremente. 
Si fece coraggio e avanzò verso uno dei bambini. Il fuoco che scoppiettava in prossimità dell'entrata era ormai lontano, e anche Tom, mentre procedeva verso il fondo della caverna, veniva come inghiottito dall'oscurità.
Procedeva a fatica perché i suoi piedi affondavano nel terreno melmoso e appiccicoso, ma alla fine riuscì ad avvicinarsi ad un bambino. 
Per la verità riusciva a vederlo a stento, più che altro percepiva la sua presenza al suo fianco. Fermatosi accanto a lui, quindi, pronunciò un debole “Ciao”.
Sentì il bambino irrigidirsi, le sue mani fermarsi a metà del lavoro; forse terrorizzato da quella voce, non osò voltarsi e rimase in silenzio come in attesa.
Tom allora continuò a parlargli, sommessamente. 
“Che fate qui?”
Ma invece di una risposta Tom si sentì rivolgere un'altra domanda:
“Chi mi chiede una cosa così strana?”
Tom non capì bene quella domanda, ma decise di rispondere:
“Io sono Tom, tu come ti chiami?”
“Io sono io, mi vedi no? Sono quest'essere tremolante che hai di fronte a te”
A quelle parole Tom guardò davanti a sé e vide l'ombra del bambino proiettata sulla parete della caverna, che per effetto del fuoco, si muoveva continuamente tremolando.
“Quella è la tua ombra” rispose candidamente Tom “Tu sei un'altra cosa, tu sei un bambino come me”.
A queste parole il bambino non rispose nulla, rimase ancora una volta in silenzio, come per riflettere su quanto aveva appena udito.
“Perché non uscite da qui? Potremmo andare tutti a giocare là fuori...sotto il sole... all'aperto”.
Dopo un breve silenzio il bambino rispose:
“Nessuno è mai uscito da qui”.
“Perché?” chiese stupito Tom.
“Perché dovremmo uscire?” disse di rimando il bambino “I nostri piedi sono ben piantati a terra, i nostri occhi vedono tutto quello che c'è da vedere, e abbiamo il nostro compito da finire”.
Allora Tom disse: “Ma i vostri occhi vedono solo delle ombre!” 
“Cosa sono queste ombre di cui parli? Io vedo solo noi stessi”
“Quello non sei tu, è solo la tua ombra che si proietta sul muro” insistette Tom
“Perché dici questo? quello sono io” ribadì a sua volta il bambino. 
Non sapendo più cosa dire Tom ribatté: “Se non mi credi seguimi fuori di qui, dove c'è più luce e ti farò vedere chi veramente sei”.
A queste parole seguì un altro momento di silenzio, poi il bambino disse: “Ma dovrei prima liberare i miei piedi, vedi anche tu che non posso muovermi”.
“Non è una cosa difficile … guarda... fai come me”, e così dicendo Tom estrasse dalla terra i suoi piedi, uno dopo l'altro. Dopo qualche secondo sentì che il bambino stava cercando di imitarlo, ma senza riuscirci.
“Non ci riesco, io non posso farlo”.
“Lo fai davvero con poca convinzione, e poi forse sei qui dentro da così tanto tempo che la terra intorno alle tue caviglie si è un po indurita, cerca di sforzarti un po'”.
Il bambino allora provò ancora e dietro le ripetute sollecitazioni di Tom alla fine riuscì ad estrarre un piede dalla terra.
“OH!” esclamò stupito.
“Bene! Ora fai così anche per l'altro piede”
Il bambino, sempre più sconvolto da quanto gli stava accadendo, seguì le indicazioni di Tom e presto si ritrovò con i piedi che affondavano ripetutamente nella terra ma ormai liberi di muoversi. 
“Ora” gli disse Tom “dobbiamo uscire di qui” e così dicendo si voltò per incamminarsi verso l'uscita della caverna. 
“Cosa?” chiese il bambino e appena si voltò in direzione della voce di Tom si immobilizzò per la paura alla vista del grande fuoco che in lontananza ardeva e mutava continuamente nel colore e nella forma.
“Cos'è quello....” chiese con un filo di voce e divorato dalla terrore.
“Quello è il fuoco” spiegò con pazienza Tom “ Non lo sai cos'è il fuoco?... è lui che fa luce qui dentro”.
Il bambino istintivamente si avvicinò a Tom come per cercare protezione. Si sentiva smarrito, aveva appena abbandonato tutto quello che conosceva bene per avventurarsi verso qualcosa di sconosciuto e mostruoso. Tom istintivamente gli prese la mano e lo tirò dolcemente procedendo verso l'uscita della caverna. 
Man mano che i due si avvicinavano al fuoco la luce aumentava ed essi riuscivano finalmente a scorgersi l'un l'altro.
Tom si ritrovò allora di fronte un bambino dai capelli lunghi, sporco di terra, che lo fissava con due occhi spalancati dal terrore.
“Che succede? perché mi guardi così?” chiese un po' spaventato anche lui.
“Cosa sei tu?”
Tom restò ancora una volta perplesso davanti a quella domanda ma rispose ugualmente, non senza una certa condiscendenza: “Sono un bambino, proprio come te, e mi chiamo Tom, ma questo te l'ho già detto”. 
Il bambino intanto quasi non lo ascoltava più. Guardava le sue mani e quelle di Tom, guardava il suo corpo e a poco a poco riconosceva in quelle forme i contorni delle ombre che fino a quel momento aveva creduto fossero l'unica cosa esistente. Lentamente iniziava a capire. 
Tom riprese a camminare, tirandosi dietro il suo nuovo amico. Oltrepassarono il fuoco, non senza difficoltà, e si ritrovarono in prossimità dell'uscita dalla caverna. Allora senza indugi Tom accelerò il passo e dopo pochi istanti i due si ritrovarono fuori dalla caverna, all'aperto, sotto un sole accecante.
“AIUTO!!! Cos'è questa esplosione!?” urlò il bambino liberandosi dalla presa di Tom e cadendo in ginocchio.
“Quale esplosione? E' solo la luce del sole...”disse Tom guardando sorpreso il bambino. 
Pian piano il bambino allontanò le mani che aveva accostato agli occhi per difendersi dalla luce e davanti al suo sguardo allibito si svelò un mondo di cui non aveva mai neanche sospettato la possibilità.
Tom capì che a quello strano tipo avrebbe dovuto spiegare proprio tutto, e così fece.
I due passarono insieme l'intero pomeriggio, osservando tutto quello che li circondava. Il bambino toccava, annusava e assaggiava tutto, era davvero molto buffo, e intanto imparava e capiva tante cose. 
Dopo diverse ore, mentre Tom esausto si riposava sdraiato all'ombra di un albero, il suo nuovo amico gli corse incontro con negli occhi un luccichio nuovo e, come un invasato, mosso da un entusiasmo incontenibile, gli disse:
“Ora voglio tornare nella caverna per raccontare a tutti quello che mi è successo; voglio che anche gli altri conoscano questo mondo meraviglioso di cui là dentro si vedono solo delle pallide ombre!”.
Tom, pur sorpreso da tutto quell'entusiasmo, capiva bene il desiderio del suo amico.
Gli disse, però, che lo avrebbe aspettato fuori, era davvero troppo stanco. 
Così il bambino si diresse correndo verso la caverna, felice di far conoscere a tutti la vera realtà che fino a quel momento nessuno di loro aveva mai visto.
Ma quando entrò nella caverna si immobilizzò subito. Nonostante la presenza del fuoco, infatti, il buio là dentro era davvero profondo e i suoi occhi, ormai abituati alla luce del sole, non riuscivano a scorgere niente. Proseguì a tentoni e barcollando; sembrava un ubriaco. Inoltre i suoi piedi affondavano nella terra e questa sensazione che prima gli sembrava naturale ora lo spaventava facendolo agitare ancora di più.
Fu in questo stato che i suoi compagni lo videro (o meglio, videro la sua ombra!) mentre lui gridava loro, tutto infervorato, che là fuori c'era un mondo insospettato, sconosciuto e bellissimo che tutti dovevano assolutamente conoscere perché quello era il mondo vero!
Ma quelli, vedendolo arrancare come uno che non sa neanche stare in piedi, vedendolo agitarsi come un esaltato e non capendo un sola parola di quanto andava dicendo, lo presero per un pazzo e iniziarono a deriderlo. 
“Sei impazzito, che ti è successo?” gli chiedevano tutti ridendo di lui.
Il povero bambino non capiva la reazione dei suoi compagni.
“Perché ridete? Vi dico che là fuori c'è la realtà vera, la libertà, la conoscenza... ma non volete liberarvi da questa schiavitù? Non volete conoscere il vero mondo? questo è un mondo fatto solo di apparenze, di illusioni, quelle che vedete davanti a voi sono solo le vostre ombre, non siete voi!”
Ma più cercava di spiegare quanto aveva scoperto più le sue parole suonavano prive di senso alle orecchie degli altri bambini, parevano le parole di un folle. 
Alla fine qualcuno gli disse di andar via, ché turbava la quiete di quel posto e non permetteva più a nessuno di portare a termine il proprio compito.
Il bambino, a malincuore e con una grande profonda tristezza nel cuore, si rassegnò e se ne tornò a fatica fuori dalla caverna, solo e inseguito dalle parole di scherno degli altri. 
Si chiedeva perché i suoi compagni non avevano creduto alle sue parole, come mai non erano come lui curiosi di vedere, di conoscere la verità, e come potevano accontentarsi di una mondo fatto solo di illusioni.
Quando uscì dalla caverna si accorse che Tom non c'era più, si ritrovò solo, in quella potente luce e in quel mondo pieno di colori e profumi. 
Capì che il prezzo da pagare per poter godere di quella bellezza sarebbe stato la sua solitudine e, pur profondamente triste per i suoi amici lasciati lì nella caverna, provò una profonda riconoscenza per Tom che lo aveva liberato dall'errore e da un mondo di apparenza, che gli aveva donato la possibilità di distinguere il vero dal falso.
Si incamminò lungo la strada andando incontro al suo nuovo destino».


“Insomma mamma” disse Enrico quando la mamma ebbe finito di raccontare questa storia “se decido di conoscere la verità allora resterò solo e inoltre i miei amici mi prenderanno in giro, non è così?”

“Vedi piccolo mio” disse la mamma, “spesso le cose più importanti e belle sono difficili da conquistare e proprio perché sono in pochi a riuscirci, quelli che ci riescono non sempre trovano la comprensione e il consenso degli altri”.

“Allora basta rinunciare a quelle cose e saremo sempre in armonia con tutti!” esclamò tutto contento Enrico.

“Forse in questo modo otterrai il consenso dei tuoi amici, è vero, ma dovrai rinunciare a qualcosa di molto importante come la conoscenza e la libertà. In altre parole, dovrai vivere un po' come quei bambini nella caverna, costretti a guardare in una sola direzione e impossibilitati a scoprire la verità”.

“Ma loro non erano costretti, in fondo c'era solo un po' di terra a fermarli”.

“Hai ragione Enrico, la terra non è un grosso impedimento, di certo è molto diversa da una catena e, se vuoi, puoi liberarti. Ma hai sentito anche tu quanta resistenza ha fatto il bambino della storia prima di dare ascolto alle parole di Tom, quanta poca energia ha impiegato per liberarsi...”

“In effetti è vero, sembrava quasi che non volesse essere liberato... ma perché?”

“Perché a volte i nostri impedimenti, anche se leggeri, sono radicati in noi, e ci danno un senso si protezione e di sicurezza. Però restano sempre dei limiti, delle vere e proprie catene”.

“I limiti non sono una cosa buona, vero mamma?”

“Non lo sono, piccolo mio”

“Però a me piace il senso di sicurezza, di protezione, come quello che sento quando mi addormento nel tuo lettone o quando mi abbracci dopo un brutto sogno!”

La mamma sorrise e disse: “Quel senso di protezione è una cosa diversa, piccolo mio”

“Perché?”

“Perché non scaturisce da un limite che ti viene imposto, ma dal mio amore e dalla tenerezza che provo per te”.

“E qual è la differenza mamma?”

“La differenza è questa: che nell'altro caso il limite deriva dalla paura, o dalla pigrizia, come quando non vuoi uscire a giocare a pallone perché ti secca lavarti, vestirti e uscire e preferisci restare sul divano a guardare passivamente la TV o come quando non vuoi uscire a giocare con i tuoi amici perché nel gruppo c'è una nuova bambina che ti fa provare un po' di vergogna. Ecco, in queste occasioni tu non fai delle cose che ti farebbe bene fare o che forse desideri fare, e non le fai a causa di alcuni limiti, come la pigrizia e la paura... capito?

“Credo di si mamma... Quindi il bambino della storia è meno pigro, o meno pauroso degli altri?”

“Proprio così, quel bambino mostra di avere più coraggio e di essere più curioso degli altri... Decide di fidarsi di Tom. E' un po' come una persona che all'improvviso trova la forza e il coraggio di interrogarsi su quello che desidera realmente e che mette in discussione le scelte che ha fatto, senza pensarci molto, fino a quel momento”. 

Enrico prese a riflettere sulle parole della mamma e poi chiese: “Però quel bambino deve affrontare degli ostacoli, il fuoco, e anche il sole. Perché si difende dal sole? Il sole non fa male...”

“Il sole non fa male, è vero, ma quando la luce è troppo intensa i nostri occhi soffrono perché non hanno la potenza adatta per sostenere tutta quella luce”.

“E' vero” ammette Enrico.

“Accade così anche per la nostra mente sai Enrico? a volte non siamo ancora pronti a conoscere alcune cose, ci fanno male e dobiamo accostarci ad esse piano piano, lentamente, anche se sono evidenti e chiarissime come la luce del sole”. 

“Ma tu stai parlando della Verità mamma. L'ho sentito ieri in TV: la verità fa male!”

“Esatto figliolo” dice la mamma sorridendo “ E' proprio cosi, la verita è evidente e può anche ferire, ma è bene sforzarsi di affrontarla”. 

“E' troppo difficile fare tutto questo mamma, e poi io non voglio restare solo!”.

“Non è così difficile come sembra, Enrico, l'importante è iniziare, e poi basterà fare un passo alla volta. E non dimenticare che il bambino della nostra storia ha incontrato Tom, non è del tutto solo. E sono certa che sul suo cammino troverà altri amici, molto speciali per lui, con i quali condividere le sue scoperte, te lo assicuro”.

“E io ci credo mamma, perché tu non assicuri niente quando non sei sicura” concluse Enrico mentre contento si sistemava ancora più comodamente sulla sua poltrona sapendo che di lì a poco avrebbe gustato una buona cioccolata calda, quella che sua madre gli preparava spesso mentre raccontava le sue storie. Cosa c'è di più adatto, in fondo, ad un pomeriggio piovoso?













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